È stato evidenziato in più occasioni come Balest nell’ultimo trentennio abbia trascurato i temi (la natura morta, il ritratto e il paesaggio), che avevano costituito i tratti distintivi della sua pittura negli anni cinquanta e sessanta. D’altro canto Puppi (2000, p. 32) nota che «ne abbandona l’assunzione e la trattazione distinte in quanto generi caratterizzati e sottostanti a regole specifiche, per effettuarne una sintesi spregiudicata e libera». Testimone della sintesi elaborata è questa natura morta del 1993 che, pur rimanendo strettamente legata alla lingua del secondo Novecento – forte, più che d’altri, della lezione di Giorgio Morandi – nasce da un pensiero, da un modo di sentire completamente autonomo, che è «passato d’un colpo solo dal colore descrittivo al colore significante, da una prospettiva gerarchizzata per piani alla disposizione paratattica di forme e campiture cromatiche» (MazzarioI 1987). Questa è, poi, la sintassi dell’opera tutta di Balest, tratto distintivo in particolare di opere come la Casa greca del 1985-95, e Interno e finestra del 1989-2003.

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